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2015/02/28

ISIS guerra persa prima ancora di cominciare

Questa volta nessuna immagine. Volutamente ometto di inserirla, Nessuna delle immagini sul web è sufficientemente capace di mostrare il mio sdegno e preoccupazione per quello che sta succedendo ora.

Mentre la Francia e il Regno Unito scoprono con orrore che le persone normali possono essere improvvisamente trasformate in tagliagole, ritorno su questo fenomeno che non ho mai smesso di denunciare: alcuni jihadisti non sono né takfiristi, né mercenari, ma sono stati condizionati per diventare assassini.

Per l’ennesima volta non mi stupisco quindi che i criminali dell’ISIS la facciano da padrone in Medio Oriente e in Libia vista la pochezza dell’Europa che sta loro di fronte e che non ha il coraggio di opporsi a questi criminali. 
“L’Italia agirà con fermezza” dice Renzi. Giusto, con “fermezza” si intende che si starà appunto fermi, immobili, nulla decidendo. Così come nulla decide l’ONU, l’Europa, l’intero occidente “cristiano” svogliato e distratto. Anzi, nessuno aiuterà perfino i libici che si oppongono all’ISIS, pur di non compromettersi. 

Ci sarà solo una breve polemica dopo il prossimo attentato, una lacrima per le prossime morti in mare e poi nuovamente calerà il silenzio. Intanto avanti con gli sbarchi, gli scafisti, le rappresaglie, i cristiani e i prigionieri messi in gabbia e poi bruciati o strangolati, gli omicidi, gli stupri. 

L’ottusità umana è sempre la stessa: i nazisti che ieri bruciavano i libri, questi lucidi pazzi assassini oggi dell’ISIS che oggi distruggono le statue. Intorno un mondo colpevolmente idiota, ebete, distratto in attesa del prossimo video, del prossimo orrore, del prossimo disastro. Anzi, visto che i video “disturbano” la proposta di alcune TV è di non trasmetterli nemmeno più perché – sia pur censurati – potrebbero far inorridire le anime belle 


2015/02/23

Lo schiaccianoci


Il Brussels Blog del Financial Times ha pubblicato cento pagine di trascrizioni inedite di interviste che Timoty Geithner ha rilasciato ai suoi assistenti nella fase di preparazione del suo libro Stress Test: Reflections on Financial Crises. Molte delle citazioni compaiono nel libro, altre svelano ulteriori retroscena su quella fase critica (fine 2011-estate 2012) di crisi della zona euro.

Il Brussels Blog rivela innanzitutto come, per l’allora Segretario del Tesoro, il “whatever it takes” di Draghi del luglio del 2012 è stato improvvisato e non vi era alcun piano preciso da parte del presidente della Bce. Geithner ricorda come poco prima della famosa frase, con la comunità degli hedge funds convinti che l’Europa stesse finendo, Draghi non sapeva letteralmente che fare, era allarmato e ha costruito una serie di frasi come ‘we’ll do whatever it takes’. “Ridicolo”, afferma  Geithner. 

”Andai a vedere Draghi all’epoca e Draghi non aveva nessun piano. Il suo piano erano questa sorta di frasi vuote di questo tipo”. Deve far riflettere molto tutti coloro che ancora pensano che la Bce possa iniziare una politica di Quantitative Easing.
Sulla politica europea di quella fase, Geithner aggiunge alcuni particolari alle sue rilevazioni del suo libro che già aveva fatto molto discutere. E nel G-20 in Francia che Sarkozy ospitò in piena campana elettorale, gli europei “ci hanno approcciato in modo soft, indirettamente dicendoci: ‘Vogliamo che vi unite a noi nel forzare Berlusconi alle dimissioni’. Volevano che  dicessimo che non avremo supportato un aiuto del FMI o ogni altro supporto all’Italia qualora Berlusconi fosse rimasto premier. It was cool, interesting. I said no….”, dichiara l’ex Segratario del Tesoro. E questo è più o meno quello che già sapevamo attraverso la sua biografia. 

Ma poi è arrivata la parte nuova: “Ricordo che quando andai a cena guardai il mio Blackberry. Era un cazzo di disastro in Europa. Le azioni delle banche in Francia stavano scendendo del 7-8%.
Per me era come assistere ad una carneficina a causa di persone che stavano dicendo: la crisi in Grecia, chi è esposto in Grecia?… Gli europei arrivarono a quell’incontro dicendo: ‘Daremo ai greci una lezione. Sono veramente terribili. Ci hanno mentito. Hanno succhiato e si sono approfittati della situazione e li schiacceremo’ era l’atteggiamento di tutti loro. Ma la principale cosa che ricordo aver detto a queste persone è stato: ‘tu puoi mettere i tuoi piedi sul collo dei greci, se è quello che volete”. 
Ma, prosegue Geithner, dovete mandare un messaggio di rassicurazione all’Europa e al mondo che lo farete insieme e non divisi. Dovete proteggere il resto dell’Unione”. Dovete essere sicuri di costruire questa capacità per rendere quest’impegno credibile mentre date questa lezione ai greci, il messaggio.

“Ho sottostimato completamente la possibilità che gli europei avrebbero fallito in tutto per i tre anni successivi. Ho pensato che fosse inconcepibile che avrebbero potuto fare così male come in ultima analisi hanno fatto. Ma i primi segnali vanno riscontrati in quel dibattito iniziale. Erano stati ingannati dai Greci. E ‘stato imbarazzante per loro, perché i greci avevano finito per prendere in prestito tutti questi soldi ed erano pazzi di rabbia e volevano solo vendicarsi”.

Ma, sottolinea Geithner, in questo modo stavano alimentando e rafforzando tutto il dramma  che sarebbe seguito. La Grecia è oggi un paese in cui tre cittadini su cinque hanno superato o stanno superando la soglia di povertà, sono stati rinegoziati i principali diritti sociali garantiti per Costituzione e a cui è stato imposto un piano di privatizzazioni selvagge. Le politiche imposte alla Grecia, da allora, sono divenute  il principale modello di riferimento per gli altri paesi, tra cui l’Italia.

2015/02/21

Only a paradise?


Open an offshore company is not prohibited by any law of any country but the conditions or better to say, the rules, indeed the rule is to pay taxes that the offshore company produces in the nation where business takes place, and believe me, almost none of than 810 000 companies registered with the British Virgin Islands is working on native soil.
All, let's talk about 99.9999999% are spread over the entire planet.

Let us read the story of Trevor but could be that of Arturo, Jean or Nikolajev, all share a common problem: too many gains, and too many taxes to pay, of course.

The cabbie who drove me over the vertiginous hills of Tortola toward Road Town, the two-stoplight capital of the British Virgin Islands, told me that his name was Wayne. But he explained that ever since he was a small boy, people had called him "Shorty," so I could call him that too. I'd landed late after a three-leg flight from Toronto, with stops in Miami and Puerto Rico and a last, jarring hop by turboprop ATR. For long stretches of the narrow, winding road from the Beef Island airport, there were no lights to reveal our surroundings. But as he weaved left and right, and gunned the engine of his aging Toyota van to make it up the next steep, Shorty gave me the lay of the place. There were dozens of islands in the BVI-no one can seem to agree on the number-and a whole lot of money. At the far eastern end was Necker Island, owned by Sir Richard Branson. South of us, Shorty indicated with a wave to the left, was Peter Island, where the billionaires liked to hold exclusive weddings. "Sometime we can't go over there for a whole month," he complained. And all around were calm, protected waters, perfect for sailboats. "Mos' people on that plane you came in on," said Shorty, "they coming for the sailing."

Even more than sailing, the business of the BVI is sheltering companies from taxes. Operating as a tax haven isn't unique to this archipelago, of course; plenty of Caribbean islands, along with a few European jurisdictions such as Switzerland and Liechtenstein, have for decades offered the wealthy a place to escape the heavy burden of post-World War taxation. But the BVI has found its métier: offshore incorporation. All of about 25,000 people live scattered throughout these islands, but there are more than 800,000 registered companies here, of which about 460,000 are active. And it's big business: By one estimate, 51.8% of the BVI's national revenue comes from licence and company fees. According to the most recent survey done by KPMG, some 41% of all the offshore companies in the world can be found here.

"Found" is a matter of debate, of course. Because while there are some legitimate legal reasons to establish an offshore company in the British Virgin Islands-hedge funds, for example, appreciate having fewer restrictions on their investments-many people use BVI companies to hide something. Maybe it's identity; establishing an offshore company makes it easier to keep one's name out of certain transactions. Or maybe it's money.

Fraud lawyer Martin Kenney, older brother to Jason Kenney, Canada's Immigration Minister, runs a booming practice in Tortola, charging $650 an hour or a hefty "success fee" to chase down the assets of fraudsters who use offshore companies like those in the BVI to hide millions of dollars from the eyes of wives, business partners and governments. Kenney, his grey hair styled back, his crisp shirt open at the neck, sits in his air-conditioned Road Town office and chuckles as he talks about the years following 1984, when BVI's International Business Companies Act established the country as an offshore financial centre. Those were the days when men would bring in duffel bags full of cash, he says, when you could establish a company or a trust with little or no proof of identity: "In the late '80s and '90s, it was a free-for-all."

Increasingly stiff anti-money-laundering laws, imposed upon offshore jurisdictions largely by U.S. authorities determined to choke off the proceeds of drug trafficking and terrorism financing, have lately made it much harder to secret assets in the BVI. But as Kenney likes to say, "Bad business is still getting booked." And my assignment was to fly here, undercover, and find out how it works.

By coincidence, the very day I began my investigations in the BVI, representatives from the Canada Revenue Agency and the Department of Finance were appearing before the parliamentary finance committee to report on the vexing matter of Canadians keeping money offshore. In the eyes of the CRA, it's a two-pronged problem-tax "avoidance," which subverts the spirit if not the letter of the law, and tax "evasion," which is flat-out illegal. The U.S. government estimates it loses $100 billion a year in tax revenue stashed in offshore accounts. And while the CRA hasn't made an estimate of Canadian offshore money, it has, since 2006, increased the number of full-time employees working on international audits by 44%. In that time, from more than 6,700 cases, it claims to have found $3.5 billion in unpaid taxes.

It takes an accountant to explain how someone might use an offshore company to "avoid" rather than "evade" taxes, so I asked mine. Here's how he put it to me:

A person, call him "Bob," could form a company in Canada (Bob Canada Inc.) and another one offshore (Bob Island Inc.). Whatever money Bob was paid on contract-say, $100,000-could be received by Bob Canada Inc. But Bob could then pay $90,000 to Bob Island Inc. for "consulting services." Bob would have $100,000 in income, but $90,000 in expenses, and so pay tax on only $10,000.

If Bob dealt in hard goods like shoes, he could use Bob Island Inc. to buy shoes from China for $10,000, then sell those shoes to Bob Canada Inc. for $90,000. And Bob Canada Inc. could sell them in Canada for $100,000. So that's $10,000 profit Bob has to pay Canadian taxes on, and $80,000 sitting in a bank offshore. (Bringing any of that offshore money into Canada gets tricky. It might be possible to set up a credit card that would let Bob get cash advances, paid back by Bob Island Inc. But now, by not declaring that money, Bob has slipped over into tax evasion. He's better off using his offshore stash to buy a yacht.)

The CRA is trying to cut off the tax-avoidance avenues for people like Bob by establishing Tax Information Exchange Agreements with various countries, so that it can find out who's keeping how much where. Up to now, it has signed 11 such agreements, several of them with Caribbean jurisdictions. So far, however, the BVI isn't one of them. So when Bob wants to keep his money and his identity safe, he comes here.

In Road Town, you'll find about 80 firms, commonly known as "trust companies," that act as agents in forming and administering offshore companies and trusts. For about $1,500, they'll do the paperwork. (A company named after your grand-niece, with 50,000 no-value shares? Done.) Since there are no taxes to pay in the BVI, there are no books to keep, and no audits of your records. If you wish, many of these firms will provide a person or even another company to act as the "nominee director" of your company, so that your name need not appear on any transactions. And most of them can offer "shelf companies"-that is, companies already incorporated and sitting on the shelf, ready to go. For more money, you can buy a shelf company that has been "aged"-created, say, five or 10 years ago and just waiting, dormant, for someone who suddenly needs to say he's been in business that long.

You can do this online, if you prefer. Many of these firms have websites, and you can download the application forms. (One such firm, Fidelity Corporate Services, provides helpful answers to some common questions about offshore companies. For the most germane of these-"Aren't all offshore companies used by crooks and money launderers?"-Fidelity complains that opinion is part of a government smear campaign, and its answer begins, "Well, aren't domestic companies used by them, too?")

Before I set up meetings with any of these firms, it seemed a good idea to come up with a fake identity. I could go in playing the high-roller, I thought, and even set up a Gmail account under a false name in order to communicate with the firms. That idea dissolved the moment I talked to Jack Blum, a semi-retired former U.S. congression-al investigator and authority on shadowy dealings in the BVI. "They're going to want information about you," he said. "They're going to ask for a passport and some other ID."

So, no fake identity; I'd have to go in as myself. That was probably just as well; I'd never been a very good liar. What about handing over my passport-was that a good idea? I asked the advice of Lincoln Caylor, a fraud lawyer with Bennett Jones in Toronto. "I don't know," he said. "I wouldn't do it." Right.

It also seemed useful, during whatever meetings I could arrange, to at least hint at some underhanded purpose for needing an offshore entity. But what could I, a humble Canadian novelist, be getting up to? After a few more calls for advice, I came up with this: I'd tell them I was about to sign a major U.S. book deal and had a TV development deal in the works, and let the dollars pile up in their minds. As for why might I need an offshore company, I'd mention the fact that my wife was divorcing me, and so...I hoped I could leave the rest to their imagination. Some of this was true-I did have a U.S. book deal and a TV development deal, but for dollar amounts that hardly warranted a sock in a drawer, let alone an offshore company. I was also, as it happened, separated, though between my wife and I everything had long been settled. Exaggeration and implication seemed more within my wheelhouse than out-and-out falsehood.

I ran this scenario past Kenney, to see if it would pass shady muster. He'd chased down billionaire husbands, one who'd forged his wife's signature on a divorce settlement that left her just $33 million. In his Tortola office, he nodded. "That's right in the middle of the road," he said. "You could get some people saying, 'Oooh, that's a little dodgy.'" That seemed just about right.

Downtown Road Town is marked by a busy roundabout and the usual Caribbean atmospherics of car horns, exhaust fumes and a whiff of open sewers. In mid-December, Christmas featured prominently: Inflatable Santas and reindeer wobbled along Main Street in the humid air, and calypso versions of Christmas classics blasted from carpet-store speakers. There are street signs in Road Town, but no one uses addresses. Businesses locate their offices in named buildings, and it is up to you to know where those buildings are. My first appointment, for instance, was with a company I'll call Tortola Trust, in Palm Grove House, a stuccoed building in the banking district (where, as it happens, you'll also find branches of banks such as Scotiabank and the CIBC-owned FirstCaribbean International Bank; thanks to its historic ties to Britain, Canada has long had a dominant banking presence in the Caribbean.)

It took a while, and several entreaties for help from passersby, before I found Palm Grove House. Emerging from the elevator at Tortola Trust, I was greeted by two men in their mid-30s, a South African named Mike and a Brit named James, both of whom were dressed in shirt sleeves, open at the neck. They showed me through an impressive suite of offices into a large boardroom, and brought me a bottle of cold water.

After a few moments of chit-chat, I laid out my "situation." I mentioned a "significant amount of money" coming in and the fact that my wife and I had separated, and that I therefore had "concerns around that money."

James and Mike seemed to view this as reasonable. Thoughtful and relaxed, they probed for details, about my marriage, my family (did I have children?) and my assets. Whatever structure I set up wouldn't be to "defraud a creditor as such," James explained; it would be to help me "safeguard" future earnings. They both seemed quite interested in helping me do that.

I wondered out loud whether there was some way to avoid listing my assets under my name. Wasn't that something a BVI company could help me with?

James laid out my options. Most clients set up a BVI company, he explained, with shares listed in their own name, which would be public. "But then what people do to avoid that," he said, "is they put the shares in a trust. So you have the BVI company and the trust. And the trustee of that would be Tortola Trust BVI Ltd. So we would be the shareholder. So you could say it's definitely not in your name, it's in our name."

This is one of the ways to accomplish what's known as "layering"-putting degrees of separation between the public face of the company and the person that a creditor or a government is really interested in: the Ultimate Beneficial Owner. All of the due diligence requirements in the BVI rest on being able to provide that name when a court demands it. That's one of the reasons that, as of last year, you could no longer use "bearer" shares in the BVI. Bearer shares put ownership of a company in the hands of whoever physically held the shares; if the shares for Bob Island Inc. were kept in Bob's lawyer's safe, the lawyer became the owner.

With the elimination of bearer shares, the owner's name can't be completely hidden. But even so, layers can make the digging more difficult. James tried to explain the intricacies of the company-trust-trustee arrangement, and I tried to push him for assurances that my identity would be protected. "I wouldn't recommend, you know...we're not going to lie," said James, somewhat hesitantly. "But, 'Have you got any assets in your name?' No."

Wasn't that a bit risky, I wondered-to make someone else the legal owner of my assets? Yes, actually. It would be possible, James admitted, for the firm to remove me as director of my company, cash in my assets and hide them "somewhere else in the Caribbean." All of us in the boardroom had a good chuckle about that. And James said the firm had insurance to protect me.

As for what I could do with the assets held by my company, well, I could do anything. Although, "if you wanted to buy a nuclear power station," he said, grinning, "we may have some issues with that."

James and Mike both recommended that I get tax advice from my accountant before going further. (My accountant had already told me that if I wanted to form one of these companies, he'd recommend I start working with another accountant.) And they would need my passport and other details, such as a utility bill to prove my residency, to meet the government's "Know Your Client" requirements. A few minutes later, when James had left, Mike took me through the application and fee schedule. "Once we are the legal owners of the trust and the trust's assets, that's where the confidentiality is working at its best," he assured me. "If somebody comes knocking on the door saying, 'Are you looking after Mr. Trevor Cole? We want to find out this, that and the other,' we'll just go"-he shrugged-"Sorry."

A lot of people, he added, like to list their tax adviser as the point of contact on certain documents. "It's just more murkiness for people to get through." And if I was willing to provide more information on the nature of my assets and the purpose of my company, there was always the option of paying their firm to act as the director of my company. "It removes you further from the scene of the crime, if you like."

Over the next two days, I met with three other firms. In the blue-stuccoed Akara Building, above a small photography studio and an office for the BVI Tourist Board and Film Commission, I found the Panamanian trust company Mossack Fonseca. There was no elevator to take me to the third floor, just a narrow, dimly lit staircase with steps covered in chipped tiles, and the office at the top of the stairs was more humble than Tortola Trust's. There I met with two women-Daphne, from the island of Dominica, and an older woman named Rosemary, who was the managing director.

Throughout our meeting, Rosemary eyed me with some suspicion, but tried to accommodate my concerns about keeping my identity secret. "I understand what you're asking," she said. "You want confidentiality. You want to be anonymous. You don't want anybody to know that you are behind the company. And that can be done. Lots of big corporations and lots of individuals do it." But when I brought up the topic of layering, she became adamant. "You should not even be talking to us about layering."

Why was that?

"Because it is a no-no," said Rosemary. "It's illegal. Layering is illegal." What I could do was tell them I wanted to set up a few companies. I could tell them the structure I wanted. I could even ask for their help setting up a structure for, say, inheritance purposes. "But not layering purposes," she insisted.

After lunch-and a chat with a nice New Zealander named Steve, who was in Tortola shopping for a yacht-I entered the offices of the AMS Group, with branches in Hong Kong, London and Nevis. Here in the BVI, they're located in Sea Meadow House, a two-tone building a short distance from the centre of Road Town. My contact was Nicholas, an affable Brit, reminiscent of a young John Hurt, who showed me into a spacious and well-furnished boardroom.

This time I refused to divulge the source of the money I was getting, or what I wanted to do with it. Nicholas took it in stride, wanting only assurances, for now, that the money was from something "legitimate." He explained that half the firm's business comes from Asia, and they never see the end client. They work mostly with "introducers"-legal or accountancy firms that do all the due diligence work in their own locality and that might order up 10 companies by e-mail and get them that day because there was no onus on AMS to gather any information on the client. But that information had to reside somewhere.

"It's not like the good old days," said Nicholas, a little wistfully. Once, a BVI company was like a packet of biscuits. "It would be sold on and sold on and sold on. And no one knew who on Earth ended up holding the packet of biscuits."

When I brought up the notion of a nominee director, Nicholas admitted that some firms in the BVI offered that service-a few hundred dollars a year might get me a resident of Nevis who would act as a director with a rubber stamp to sign documents. But then he told me something surprising: If there was ever any trouble, my director would run away and my name would show up in court after all. "If you are a nominee director and you're getting paid $300 a year, you are not going to risk your neck for the person you are protecting," he said. "You send in your resignation letter, and then all gets revealed."

I liked Nicholas. I figured if I ever actually wanted to set up an offshore company, he'd be my guy. Before I left, he offered me another insight: "If you really want to confuse people, you can have Chinese characters in your company name as well. We sell tons of them."

One last meeting remained, and this time I wanted to go a step further-to formally begin the process of buying a company.

At Overseas Management Co., housed in a three-storey pink building off Waterfront Drive, I climbed up a dingy and dirty stairwell to the second floor and entered a cramped reception. The ceiling was festooned with Christmas ornaments, and I was led not to a boardroom but to a cluttered office with a small table and two chairs. There I met with Anelena, a petite Panamanian woman with a bright smile.

I almost felt bad for Anelena, because I'd decided to present myself as a busy, uncommunicative guy who needed a company and needed it fast, and sweet Anelena seemed a little bewildered. But she did her best to accommodate me.

"Yes, we can take care of this," she began. It turned out that OMC was another company whose head office was in Panama. Anelena said she would be happy to have the Panama office e-mail me the information requirements, which included a passport, and a list of shelf companies to choose from. I asked if it would be possible to just print out the list right now and let me choose a company while I was there.

"Ehhhh, let me see."

She came back more than 10 minutes later, without a list, and began asking me questions. "You live in Canada, right? And you want to buy a company. What is the purpose of the company?"

Protection of money, I said. And confidentiality.

"Okay," she said, making a note. "I can give you the list right now. But, you know, in order that you can get the company definitely we will need a copy of the passport."

I asked if they could provide a nominee director.

"Ehhh, we have nominee directors. They are located in Panama." Anelena paused for a long moment. "Do you have a business card?"

I said I didn't.

"Uh huh," she said, and gave a nervous giggle. Twice more she mentioned that to start the process she would need a copy of my passport. All I wanted from her, I said, was that list of shelf companies.

"Mmm hmm," she said, and giggled. We chatted for a while about the lack of seafood restaurants in Road Town until I suggested she go out and get that list of companies I wanted. She left and, finally, 16 minutes later, she returned.

"These are the list," she said, laying two sheets of paper in front of me, one showing 15 names pre-checked and available for incorporation, and another with a list of 32 shelf companies ready to go in five jurisdictions.

I looked down the list of BVI companies and circled a name: Ventor Holdings Ltd. That's the one I want, I said.

Anelena said she would send me all the requirements, repeating again the need for a passport. She asked, "What is your occupation?"

"Do you need to know that?"

"Ehh, yes."

"I'm an author."

Anelena paused for a second, a little taken aback. "An author?" But she made a note and recovered quickly. Once they'd received all my details and approved me, she said, I could have my company within two days.

The next morning I headed back to the Beef Island airport. My cabbie explained that his name was James, but everyone called him Handbroke. "Because when I was small I broke my hand." On the tarmac, on the way to the airplane headed to Puerto Rico, a BVI resident nodded toward a sleek white Falcon 900EX jet, its tail splashed with the image of an enormous blue eye. That's Sir Richard Branson's plane, she told me with an admiring smile; everyone knew that eye.

Richard Branson, at least, isn't trying to hide. But then, he lives here. He doesn't need to.

2015/02/17

Giramenti....


Colpito da malore durante una vacanza ad Alghero, il dottor Gaetano Marchese ha rifiutato il ricovero nel vicino ospedale di Sassari e si è fatto dare uno strappo fino a Palermo dall’elicottero del 118 siciliano di cui è direttore. La notizia, orgogliosamente sbandierata dal 118 come prova di efficienza, è di sicuro una prova di attaccamento alla propria terra di origine. Tra le lenzuola del nosocomio sardo l’esimio Marchese sarebbe stato accudito meglio di un principe. Ma è nel momento del bisogno che l’uomo sente risuonare con più prepotenza il richiamo delle radici. Ed è commovente che la comunità abbia assecondato quel richiamo, mettendo a disposizione del Marchese in ambasce un velivolo del pronto soccorso diretto dal Marchese medesimo.   

Qualcuno ipotizza favoritismi e abusi di potere. Figuriamoci, la regola del Marchese varrà per tutti i cittadini. Ovunque nel mondo ci colga un malore, basterà chiamare il 118 siciliano per vedere stormi di elicotteri levarsi in volo come in una scena di «Apocalypse Now». 

Di giorno e di notte, come nel suo caso. 

Dite di no? 

Dite che l’altra settimana a Catania, quando si è trattato di farne decollare uno per porre in salvo una neonata, a levarsi in volo sono stati solo i consueti ostacoli burocratici? 

Temo abbiate ragione. Invece di vantarsi dell’efficienza che il 118 ha dispiegato soltanto per lui, forse il Marchese (del Grillo?) farebbe meglio a provare un po’ di imbarazzo, perché nell’aria si sente già uno straordinario giramento di eliche. 

Quelle dei contribuenti. 

2015/02/13

Il Rumore del Silenzio


Il silenzio a volte è più doloroso di qualsiasi indignazione urlata, di qualunque dichiarazione, di qualunque verità. 
Il silenzio sulla tragedia delle Foibe, le cavità carsiche nelle quali furono sotterrati vivi dai partigiani del Maresciallo Tito decine di migliaia di italiani, il silenzio sull’esodo dei nostri connazionali di Istria, Fiume e Dalmazia, costretti a fuggire dalla ferocia e dalla pulizia etnica. Pagine tristi della nostra storia mai scritte, mai completamente metabolizzate da una Nazione che ha preferito dimenticare. 

Grazie a chi non ha dimenticato, però, a chi per anni ha condotto una battaglia per riportare alla luce squarci di verità, nomi, cognomi, volti, lapidi, testimonianze raccolte dal vento che ha aperto le porte sbarrate dall’omertà e dai colpevoli silenzi. 

Grazie a chi non ha dimenticato e grazie al Parlamento italiano, che nel 2004 ha istituito una Giornata della Memoria per la tragedia delle foibe e dell’esodo degli Italiani di Istria, Fiume e Dalmazia che si celebrerà ogni anno il 10 Febbraio. Una data che non servirà ad alimentare odi, perché la storia non è strumento di lotta politica; il 10 Febbraio sarà il momento per raccogliere i sussurri e le voci di quel pezzo di Italia che non c’è più, eppure così viva nella memoria dei sopravvissuti. 

Grazie a chi non ha dimenticato, e qualche anno fa ha scritto un libro che raccoglieva quelle voci e quei sussurri, per cominciare a raccontare nelle scuole che cosa accadde in quegli anni: quel libro si chiamava “Il Rumore del Silenzio” e sembrò un sasso lanciato nello stagno di una scuola italiana immobile e troppo innamorata delle proprie certezze. Andò subito esaurito e se ne parlò molto. 

Oggi viene ripubblicato, a cura del “Comitato 10 Febbraio”, per celebrare nel migliore dei modi questo primo appuntamento, raccontando fatti, elencando numeri, facendo parlare i protagonisti. 
Nessuno restituirà la vita a quelle voci, nessuno ripagherà con un pezzo di terra italiana, istriana, fiumana o dalmata i nostri fratelli cacciati dalle loro case. Noi proveremo a restituire loro la dignità del ricordo, perché non debbano mai più sentire attorno a loro il silenzio… 

GENOCIDIO 

Foibe, campi di sterminio, fosse comuni, tombe senza nomi e senza fiori, dove regna il silenzio dei vivi ed il silenzio dei morti. Migliaia di scomparsi… dalla storia che attendono giustizia e verità. Scomparvero dalle loro case, dall'affetto dei loro cari, dalla loro terra, dalla Patria che tutti amavano al di là delle diverse ideologie politiche. Insieme vittime di un disegno criminale basato sull'odio etnico e sull'ideologia marxista-leninista, che saldarono il IX Corpus e le armate titine in un'unica fratellanza con i collaborazionisti comunisti italiani, rei di essersi macchiati del sangue dei fratelli, sacrificati sull'altare di un sogno utopistico di internazionalismo emancipatore dei popoli. 

Tra il 25 luglio 1943 (caduta del Regime fascista) e l'8 Settembre 1943 (data della comunicazione dell'Armistizio, in effetti firmato il 3.9.1943) nelle zone del confine orientale (Friuli, Area giuliana-goriziana, Trieste, Istria e Dalmazia) i tedeschi (slavi alleati dei tedeschi e partigiani slavo- comunisti) preparano le contromosse alla prevista modifica di posizione dell’Italia nei confronti della alleanze. In quel tempo nelle aree suddette, erano presenti, con i loro interessi nazionali o internazionali marxisti, le seguenti fazioni: i rappresentanti del Regio esercito italiano (che controllavano non solo le provincie italiane di Pola, Fiume e Zara, Spalato, ma anche l’acquisita provincia slovena di Lubiana e l'intera Dalmazia), i tedeschi (che ritenevano essenziale il controllo delle vie di comunicazione con i Balcani sia dal punto di vista strategico che per il transito delle materie prime), gli sloveni (divisi tra filo-tedeschi e filo-comunisti con sfumature nazionaliste), i croati (il regno di Croazia, più o meno affiliato alla Corona d'Italia, aveva in Ante Pavelic l'espressione nazionalista, filo-tedesca, antiebrea e anti-italiana), i croati filo-comunisti (inquadrati nelle forze della Resistenza, presenti in Istria e a contatto con italiani comunisti), i serbi cetnici, le formazioni volontarie slave inquadrate nelle SS (Bosniaci, Croati, ecc.). 

L'area, inoltre, da sempre considerata di influenza britannica, collegava le sue mosse a rapporti stretti sia con Londra che con Mosca, attraverso le variegate componenti etnico - politiche. Questo groviglio di gruppi non si fa trovare impreparato l'8 settembre, con eccezione degli italiani, le cui Forze armate, abbandonate a se stesse, sono preda dei tedeschi e dei partigiani. La creazione dell'Ozak (zona d’Operazioni del Litorale adriatico) da parte dei tedeschi e la nascita della RSI (Repubblica Sociale Italiana) che riprende in mano la guida delle istituzioni civili e di polizia (carabinieri, Guardia di Finanza, Pubblica sicurezza confinaria ecc.) contribuiscono ad allontanare dalla zona la presenza iugoslava, senza riuscire ad impedire prelevamenti di persone e sparizioni, rappresaglie, deportazioni di natura etnico-politica. 

Le autorità del Reich (nell'ambito delle quali si distinguono due ali: quella tedesca e quella austriaca, rappresentata dal commissario Rainer e dal comandante SS Globocnick) stringono nuove alleanze appoggiando le nuove fazioni che si sono create e rafforzate nell'area (in Slovenia: Bela Garda e Domobranci - milizie armate anti -comuniste e filotedesche; in Croazia: Ustascia - milizie filo-naziste, ultra nazionaliste e permeate di mito etnico) a discapito degli interessi italiani. Tuttavia il Governo repubblicano fascista riesce a far sopravvivere la struttura amministrativa e la presenza militare attraverso reparti come la Xª Mas, il Battaglione bersaglieri "Mussolini", il reggimento alpini "Tagliamento", la Mdt (Milizia difesa territoriale), naturalmente i corpi di Polizia (Carabinieri, Guardia di Finanza e Pubblica sicurezza) ed altri corpi militari e para-militari. 

Si rafforza anche la Resistenza italiana che però si presenta divisa in partigiani garibaldini comunisti - che dal 1944 collaboreranno totalmente con la Resistenza jugoslava rappresentata dal IX Corpus rendendosi responsabili di collaborazione nei prelevamenti di italiani, come provato dalle testimonianze dei familiari dei deportati, e di eccidi di anticomunisti (Porzus 7.2.1945); sono cioè, la parte più dura nella guerra civile (Gap) - e in partigiani osovani. Dal 1944 sono presenti nell'area forti contingenti di cosacchi, caucasici e turkmeni, inquadrati in formazioni militari tedesche ai quali era stata promessa una terra ed una patria nelle zone dell'Ozak. 
La presenza di numerosi militari paracadutati tra i partigiani (inglesi, americani, russi) e di incontri e missioni tra il Regno del Sud e reparti militari della RSI rendono sempre più complessa la situazione che esplode alla caduta del fronte ed al crollo della Germania. 

È così che il primo maggio, truppe comuniste titine entrano a Trieste e Gorizia e, aiutate dai collaborazionisti italiani, fornite di liste di proscrizione, prelevano, deportano, infoibano e detengono in campi di sterminio circa 12.000 Italiani (secondo il Cln) A Zara, erano entrate il 30.10.1944 mentre a Fiume e Pola entreranno il 3.5.1945. Il disegno di genocidio fu condotto senza distinzioni politiche razziali ed economiche o di sesso ed età; furono arrestati fascisti ed anti-fascisti (anche partigiani), cattolici ed ebrei, industriali, dipendenti privati ma anche agricoltori, pescatori, donne, vecchi, bambini, e soprattutto, i servitori dello Stato (carabinieri, poliziotti, finanzieri, militi della Guardia civica, ecc.).

CAUSA DI MORTE NELLE FOIBE 

(Studio medico-legale eseguito su centoventuno infoibati, recuperati nel dopoguerra R. Nicolini e U. Villasanta, sotto l'egida dell'istituto di medicina legale e delle Assicurazioni dell'Università di Pisa. Direttore F. Domenici). 
... La causa mortis può essere stata: 
1. proiettili d'arma da fuoco, di solito sparati al cranio; 
2. precipitazione dall'alto con gli effetti che ne derivano: 
fratture multiple, commozione, shock traumatico grave, embolia, ecc. 
3. trauma da corpo contundente (bastone, calcio di fucile, bottiglie, ecc.) o acuminato con conseguenti fratture; 
4. questi diversi momenti variamente combinati, sia come cause sovrapposte, sia come concorrenti. 
L'effetto, cioè la morte, non deve essere stato necessariamente immediato: è ammissibile anche che, nonostante ferite e traumi, la morte sia avvenuta a distanza di tempo o per sete o per fame… 

MOMENTI DI UNA TRAGEDIA 

La storia non è solo lo studio di date, fenomeni, battaglie, interpretazioni, ma la visione di quell'eterno mosaico composto da milioni di tasselli che parlano di uomini e donne con i loro dolori, le loro tragedie, i loro sogni, i loro affetti. È per questo che i flash che accendiamo nel buio della galleria scura dell’ipocrisia e del silenzio creata in cinquant’anni di falsa storia vi sembreranno scarni, crudi, duri, ma vogliono ricondurre l'interpretazione della stessa alla lettura della vita, dei drammi e delle tragedie di migliaia di italiani. 

Norma Cossetto 

Norma Cossetto era una splendida ragazza di 24 anni di S. Domenico di Visinada, laureanda in lettere e filosofia presso l'Università di Padova. In quel periodo girava in bicicletta per i comuni dell'Istria per preparare il materiale per la sua tesi di laurea, che aveva per titolo "L'Istria Rossa" (Terra rossa per la bauxite). 
Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani irruppe in casa Cossetto razziando ogni cosa. Entrarono perfino nelle camere, sparando sopra i letti per spaventare le persone. Il giorno successivo prelevarono Norma. Venne condotta prima nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano dove i capibanda si divertirono a tormentarla, promettendole libertà e mansioni direttive, se avesse accettato di collaborare e di aggregarsi alle loro imprese. Al netto rifiuto, la rinchiusero nella ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo assieme ad altri parenti, conoscenti ed amici.

Dopo una sosta di un paio di giorni, vennero tutti trasferiti durante la notte e trasportati con un camion nella scuola di Antignana, dove Norma iniziò il suo vero martirio. Fissata ad un tavolo con alcune corde, venne violentata da diciassette aguzzini, quindi gettata nuda nella Foiba poco distante, sulla catasta degli altri cadaveri degli istriani. Una signora di Antignana che abitava di fronte, sentendo dal primo pomeriggio urla e lamenti, verso sera, appena buio, osò avvicinarsi alle imposte socchiuse. Vide la ragazza legata al tavolo e la udì, distintamente, invocare pietà. 

Il 13 ottobre 1943 a S. Domenico ritornarono i tedeschi i quali, su richiesta di Licia, sorella di Norma, catturarono alcuni partigiani che raccontarono la sua tragica fine e quella di suo padre. Il 10 dicembre 1943 i Vigili del fuoco di Pola, al comando del maresciallo Harzarich, ricuperarono la sua salma: era caduta supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri aggrovigliati; aveva ambedue i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate. Emanuele Cossetto, che identificò la nipote Norma, riconobbe sul suo corpo varie ferite di armi da taglio; altrettanto riscontrò sui cadaveri degli altri". 

Norma aveva le mani legate in avanti, mentre le altre vittime erano state legate dietro. Da prigionieri partigiani, presi in seguito da militari italiani istriani, si seppe che Norma, durante la prigionia venne violentata da molti. La salma di Norma fu composta nella piccola cappella mortuaria del cimitero di Castellerier. Dei suoi diciassette torturatori, sei furono arrestati e obbligati a passare l'ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero per vegliare la salma, composta al centro, di quel corpo che essi avevano seviziato sessantasette giorni prima, nell'attesa angosciosa della morte certa. Soli, con la loro vittima, con il peso enorme dei loro rimorsi, tre impazzirono e all'alba caddero con gli altri, fucilati a colpi di mitra… 

FOIBE 

Foiba di Basovizza e Monrupino - Oggi monumenti nazionali. Diverse centinaia sono gli infoibati in esse precipitati. Sul massacro di Basovizza il giornale "Libera Stampa" in data 1.08.1945 pubblicava un articolo dal titolo: "Il massacro di Basovizza confermato dal Cln giuliano. Piena luce sia fatta in nome della civiltà. Una dettagliata documentazione trasmessa alle autorità alleate della zona ed al Governo italiano". 

L'articolo riportava un documento sottoscritto da tutti i componenti del Cln e di quelli dell'Ente costitutivo autonomia giuliana, che così denunciava i crimini accaduti a Trieste tra il 2 ed il 5 maggio: "Centinaia di cittadini vennero trasportati nel cosiddetto "Pozzo della Miniera" in località prossima a Basovizza e fatti precipitare nell'abisso profondo duecentoquaranta metri. Su questi disgraziati vennero in seguito lanciate le salme di circa centoventi soldati tedeschi uccisi nei combattimenti dei giorni precedenti e le carogne putrefatte di alcuni cavalli. Al fine di identificare le salme delle vittime e rendere possibile la loro sepoltura abbiamo chiesto consiglio agli esperti che hanno collaborato, a suo tempo, al recupero delle salme nelle Foibe istriane. 

L'attrezzatura a disposizione dei nostri esperti non è sufficiente data l'eccezionale profondità del pozzo, il numero delle salme e lo stato di putrefazione delle stesse…". Davanti alle accuse che vengono fatte da alcuni organi di stampa, di uccisioni indiscriminate, che avrebbero interessato anche esponenti antifascisti, il giornale "Pílinorski Dnevmk" in data 5.08.1945, smentendo l'uccisione di patrioti italiani, ammette l'infoibamento di italiani a Basovizza e particolarmente di poliziotti e finanzieri. Così scrive: "Questa nuova Jugoslavia del maresciallo Tito, che per il numero delle vittime, per la vittoria comune occupa senza dubbio il secondo posto dopo l'Unione sovietica e che è rispettata ed onorata dalla popolazione slovena, croata e italiana di questa regione, non è possibile che abbia oltre alla Guardia di frontiera fascista, ai poliziotti, gettato nelle Foibe anche i combattenti che hanno combattuto da fratelli per la nuova Jugoslavia e dieci soldati Neozelandesi" 

Tra i responsabili degli infoibamenti a Basovizza può essere indicata la Banda Zoll-Steffè che presso le carceri triestine dei Gesuiti imperversò sotto la denominazione della Guardia del popolo. 

Foiba di Scadaicina sulla strada di Fiume. 
Foiba di Podubbo - Non è stato possibile, per difficoltà, il recupero. 
Il Piccolo del 5.12.1945 riferisce che coloro che si sono calati nella profondità di 190 metri, hanno individuato cinque corpi - tra cui quello di una donna completamente nuda – non identificabili a causa della decomposizione. 
Foiba di Drenchia - Secondo Diego De Castro vi sarebbero cadaveri di donne, ragazze e partigiani dell’Osoppo. 

Abisso di Semich – "… Un'ispezione del 1944 accertò che i partigiani di Tito, nel settembre precedente, avevano precipitato nell'abisso di Semich (presso Lanischie), profondo 190 metri, un centinaio di sventurati: soldati italiani e civili, uomini e donne, quasi tutti prima seviziati e ancor vivi. impossibile sapere il numero di quelli che furono gettati a guerra finita, durante l'orrendo 1945 e dopo. Questa è stata una delle tante Foibe carsiche trovate adatte, con approvazione dei superiori, dai cosiddetti tribunali popolari, per consumare varie nefandezze. La Foiba ingoiò indistintamente chiunque avesse sentimenti italiani, avesse sostenuto cariche o fosse semplicemente oggetto di sospetti e di rancori. Per giorni e giorni la gente aveva sentito urla strazianti provenire dall’abisso, le grida dei rimasti in vita, sia perché trattenuti dagli spuntoni di roccia, sia perché resi folli dalla disperazione. Prolungavano l’atroce agonia con sollievo dell’acqua stillante. Il prato conservò per 
mesi le impronte degli autocarri arrivati qua, grevi del loro carico umano, imbarcato senza ritorno…" (Testimonianza di Mons. Parentin - da La Voce Giuliana del 16.12.1980). 

Foibe di Opicina, di Campagna e di Corgnale – "… Vennero infoibate circa duecento persone e tra queste figurano una donna ed un bambino, rei di essere moglie e figlio di un carabiniere …"(G. Holzer 1946). 

Foibe di Sesana e Orle - Nel 1946 sono stati recuperati corpi infoibati. 
Foiba di Casserova sulla strada di Fiume, tra Obrovo e Golazzo. 
Ci sono stati precipitati tedeschi, uomini e donne italiani, sloveni, molti ancora vivi, poi, dopo aver gettato benzina e bombe a mano, l’imboccatura veniva fatta saltare. 
Difficilissimi i recuperi. 

Abisso di Semez - Il 7 maggio 1944 vengono individuati resti umani corrispondenti a ottanta - cento persone. Nel 1945 fu ancora "usato". 

Foiba di Gropada - Sono recuperate cinque salme. 

"… Il 12 maggio 1945 furono fatte precipitare nel bosco di Gropada trentaquattro persone, previa svestizione e colpo di rivoltella "alla nuca". Tra le ultime: Dora Ciok, Rodolfo Zuliani, Alberto Marega, Angelo Bisazzi, Luigi Zerial e Domenico Mari… 
Foiba di Vifia Orizi - Nel mese di maggio del 1945, gli abitanti del circondario videro lunghe file di prigionieri, alcuni dei quali recitavano il Padre Nostro, scortati da partigiani armati di mitra, essere condotte verso la voragine. Le testimonianze sono concordi nell'indicare in circa duecento i prigionieri eliminati. 
Foiba di Cernovizza (Pisino) - Secondo voci degli abitanti del circondario le vittime sarebbero un centinaio. L'imboccatura della Foiba, nell'autunno del 1945, è stata fatta franare. 
Foiba di Obrovo (Fiume) – È luogo di sepoltura di tanti fiumani, deportati senza ritorno. 
Foiba di Raspo - Usata come luogo di genocidio di italiani sia nel 1943 che nel 1945. 
Imprecisato il numero delle vittime. 

Foiba di Brestovizza - Così narra la vicenda di una infoibata il "Giornale di Trieste" in data 14.08.1947. 
"… Gli assassini l'avevano brutalmente malmenata, spezzandole le braccia prima di scaraventarla viva nella Foiba. Per tre giorni, dicono i contadini, si sono sentite le urla della misera che giaceva ferita, in preda al terrore, sul fondo della grotta." 
Foiba di Zavni (Foresta di Tarnova) - Luogo di martirio dei carabinieri di Gorizia e di altre centinaia di sloveni oppositori del regime di Tito. 
Foiba di Gargaro o Podgomila (Gorizia) - A due chilometri a nord-ovest di Gargaro, ad una curva sulla strada vi è la scorciatoia per la frazione di Bjstej. A una trentina di metri sulla destra della scorciatoia vi è una Foiba. Vi furono gettate circa ottanta persone. 

Capodistria - Le Foibe - Dichiarazioni rese da Leander Cunja, responsabile della Commissione di indagine sulle Foibe del capodistriano, nominata dal Consiglio esecutivo dell'Assemblea comunale di Capodistria: 
"… Nel capodistriano vi sono centosedici cavità, delle ottantuno cavità con entrata verticale abbiamo verificato che diciannove contenevano resti umani. Da dieci cavità sono stati tratti cinquantacinque corpi umani che sono stati inviati all’Istituto di medicina legale di Lubiana. Nella zona si dice che sono finiti in Foiba, provenienti dalla zona di S. Servolo, circa centoventi persone di etnia italiana e slovena, tra cui il parroco di S. Servolo, Placido Sansi. I civili infoibati provenivano dalla terra di S. Dorligo della Valle. I capodistriani, infatti, venivano condotti, per essere deportati ed uccisi, nell'interno, verso Pinguente. Le Foibe del capodistriano sono state usate nel dopoguerra come discariche di varie industrie, tra le quali un salumificio della zona…" 

Foiba di Vines - Recuperate dal Maresciallo Harzarich dal 16.10.1943 al 25.10.1943 cinquantuno salme riconosciute. In questa Foiba, sul cui fondo scorre dell'acqua, gli assassinati dopo essere stati torturati, finirono precipitati con una pietra legata con un filo di ferro alle mani. Furono poi lanciate delle bombe a mano nell'interno. Unico superstite, Antonio Radeticchio, ha raccontato il fatto.

Cava di Bauxite di Gallignana - Recuperate dal 31 novembre 1943 all'8 dicembre 1943 ventitré salme di cui sei riconosciute. 
Foiba di Terli - Recuperate nel novembre del 1943 ventiquattro saline, riconosciute. 
Foiba di Treghelizza - Reciìperate nel novembre del 1943 due salme, riconosciute. 
Foiba di Pucicchi - Recuperate nel novembre del 1943 undici salme di cui quattro riconosciute. 
Foiba di Surani - Recuperate nel novembre del 1943 ventisei salme di cui ventuno riconosciute. 
Foiba di Cregli - Recuperate nel dicembre del 1943 otto salme, riconosciute. 
Foiba di Cernizza - Recuperate nel dicembre del 1943 due salme, riconosciute. 
Foiba di Vescovado - Scoperte sei salme di cui una identificata. 
Altre foibe da cui non fu possibile eseguire recupero nel periodo 1943 - 1945: Semi - Jurani - Gimino - Barbana - Abisso Bertarelli - Rozzo - Iadruichi. 
Foiba di Cocevie a 70 chilometri a sud-ovest da Lubiana 
Foiba di San Salvaro. 
Foiba Bertarelli (Pinguente) - Qui gli abitanti vedevano ogni sera passare colonne di prigionieri ma non ne vedevano mai il ritorno. 
Foiba di Gropada. 
Foiba di San Lorenzo di Basovizza. 
Foiba di Odolina - Vicino Bacia, stilla strada per Matteria, nel fondo dei Marenzi. 
Foiba di Beca - Nei pressi di Cosina. 
Foibe di Castelnuovo d'Istria – "Sono state poi riadoperate - continua il rapporto del Cln - le foibe istriane, già usate nell'ottobre del 1943". 
Cava di bauxite di Lindaro 
Foiba di Sepec (Rozzo) 

Riuscì a sopravvivere Giovanni Radeticchio di Sisano. 
Ecco il suo racconto: 
"… addì 2 maggio 1945, Giulio Premate accompagnato da altri quattro armati venne a prelevarmi a casa mia con un camioncino sul quale erano già i tre fratelli Alessandro, Francesco e Giuseppe Frezza nonché Giuseppe Benci. Giungemmo stanchi ed affamati a Pozzo Littorio dove ci aspettava una mostruosa accoglienza; piegati e con la testa all’ingiù fecero correre contro il muro Borsi, Cossi e Ferrarin. Caduti a terra dallo stordimento vennero presi a calci in tutte le parti del corpo finché rinvennero e poi ripetevano il macabro spettacolo. 

Chiamati dalla prigionia al comando, venivano picchiati da ragazzi armati di pezzi di legno. Alla sera, prima di proseguire per Fianona, dopo trenta ore di digiuno, ci diedero un piatto di minestra con pasta nera non condita. Anche questo tratto di strada a piedi e per giunta legati col filo di ferro ai polsi due a due, così stretti da farci gonfiare le mani ed urlare dai dolori. Non ci picchiavano perché era buio. Ad un certo momento della notte vennero a prelevarci uno ad uno per portarci nella camera della torture. Ero l'ultimo ad essere martoriato: udivo i colpi che davano ai miei compagni di sventura e le urla di strazio di questi ultimi. 

Venne il mio turno: mi spogliarono, rinforzarono la legatura ai polsi e poi, giù botte da orbi. Cinque manigoldi contro di me, inerme e legato, fra questi una femmina. Uno mi dava pedate, un secondo mi picchiava col filo di ferro attorcigliato, un terzo con un pezzo di legno, un quarto con pugni, la femmina mi picchiava con una cinghia di cuoio. Prima dell'alba mi legarono con le mani dietro la schiena ed in fila indiana, assieme a Carlo Radolovich di Marzana, Natale Mazzucca da Pinesi (Marzana), Felice Cossi da Sisano, Graziano Udovisi da Pola, Giuseppe Sabatti da Visinada, mi condussero fino all'imboccatura della Foiba. 

Per strada ci picchiavano col calcio e colla canna del moschetto. Arrivati al posto del supplizio ci levarono quanto loro sembrava ancora utile. A me levarono le calze (le scarpe me le avevano già prese un paio di giorni prima), il fazzoletto da naso e la cinghia dei pantaloni. Mi appesero un grosso sasso, del peso di circa dieci chilogrammi, per mezzo di filo di ferro ai polsi già legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo dietro Lidovisi, già sceso nella Foiba. Dopo qualche istante mi spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell'acqua della Foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto arenarmi. Intanto continuavano a cadere gli altri miei compagni e dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l'ultima vittima, gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non reggevo più. Sono riuscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i polsi, straziando contemporaneamente le mie carni,poiché i polsi cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella Foiba per un paio di ore. 
Poi, col favore della notte, uscii da quella che doveva essere la mia tomba… 

I "DESAPARECIDOS" DI FIUME 

Una pagina di eroismo e di amore di Patria ancora poco nota è quella degli italiani di Fiume che preferirono la morte alla stella rossa dei comunisti jugoslavi. Dal 3 maggio 1945, per tre giorni e tre notti, le truppe del maresciallo Tito, avide di sangue, si scatenarono, con inaudita violenza, contro coloro che, da sempre, avevano dimostrato sentimenti di italianità. 

A Campo di Marte, a Cosala, a Tersatto, lungo le banchine del porto, in piazza Oberdan, in viale Italia, i cadaveri s’ammucchiarono e non ebbero sepoltura. Nelle carceri cittadine e negli stanzoni della vecchia Questura, nelle scuole di piazza Cambieri, centinaia di imprigionati attendevano di conoscere la propria sorte, senza che alcuno si preoccupasse di coprire le urla degli interrogati negli uffici di Polizia, adibiti a camere di tortura. 

Altre centinaia di uomini e donne, d'ogni ceto e d’ogni età, svanirono semplicemente nel nulla. Per sempre. Furono i "desaparecidos". 
Gli avversari da mettere subito a tacere vengono individuati negli autonomisti, cioè coloro che sognavano uno Stato libero; ai furibondi attacchi di stampa condotti dalla "Voce del Popolo" si accompagnò una dura persecuzione, che già nella notte fra il 3 e il 4 maggio portò all’uccisione di Matteo Blasich e Giuseppe Sincich, personaggi di primo piano del vecchio movimento zanelliano, già membri della Costituente fiumana del 1921. 

Assieme agli autonomisti, negli stessi giorni e poi ancora nei mesi che verranno, trovano la morte a Fiume anche alcuni esponenti del Cln ed altri membri della resistenza italiana, fra cui il noto antifascista Angelo Adam, mazziniano, reduce dal confino di Ventotene e dal lager nazista di Dachau secondo una linea di condotta che trova riscontro anche a Trieste ed a Gorizia, dove a venir 
presi di mira dalla Polizia politica jugoslava, sono in particolare gli uomini del Comitato di liberazione nazionale. 

La scelta appare del tutto conseguente, dal momento che sul piano politico il Cln è un'organizzazione direttamente concorrenziale rispetto a quelle ufficiali, delle quali è ben in grado di contestare l'esclusiva rappresentatività degli antifascisti italiani. Pertanto, per i titini, appare come l'avversario più pericoloso, sia perché potenzialmente in grado di diventare il punto di riferimento della popolazione di sentimenti italiani, sia in quanto l'eventuale accoglimento delle sue pretese di riconoscimento, quale legittima espressione della resistenza italiana, farebbe cadere uno dei pilastri principali su cui si regge l'edificio dei poteri popolari. 
Ma la furia si scatenò con ferocia nei confronti degli esponenti dell'italianità cittadina. 

Furono subito uccisi i due senatori di Fiume, Riccardo Gigante e Icilio Bacci, e centinaia di uomini e donne, di ogni ceto e di ogni età, morirono semplicemente per il solo fatto di essere italiani. Oltre cinquecento fiumani furono impiccati, fucilati, strangolati, affogati. Altri incarcerati. Dei deportati non si seppe più nulla. Cercarono subito gli ex legionari dannunziani, gli irredentisti della prima guerra mondiale, i mutilati, gli ufficiali, i decorati e gli ex combattenti. 

Qualcuno morì più semplicemente per aver ammainato in piazza Dante la bandiera jugoslava. Il 16 ottobre del 1945, un ragazzo, Giuseppe Librio, diede tutti i suoi diciott'anni, pur di togliere il simbolo di una conquista dolorosa. Lo trovarono il giorno dopo, tra le rovine del molo Stocco, ucciso con diversi colpi di pistola. 

DAL MEMORANDUM AD OSIMO 

10.6.1944 - Sei giorni dopo l'occupazione di Roma, il Governo italiano indirizza alle autorità alleate un memorandum sostenendo la necessità di inviare unità navali nei porti di Trieste, Fiume, Zara e forze armate nei principali centri della Venezia Giulia utilizzando anche reparti italiani in collaborazione con quelli anglo-americani. 
Giugno 1944 - A Bolsena, tra il maresciallo Alexander e Tito si conviene l’attestamento delle forze jugoslave ad oriente cli una linea, clie, senza pregiudizi per i confini futuri, cla Fiume va direttamente a Nord. 
15.08.1944 - Il sottosegretario agli Esteri Visconti Venosta rinnova all’ammiraglio Stone, capo della Commissione alleata di controllo in Italia, le richieste avanzate con il Memorandum del 10 giugno. 
11.9.1944 - L'ammiraglio Stone risponde affermando che il "Comando supremo dia, presentemente, l'intenzione di mantenere sotto il Governo militare alleato le province di Bolzano, Trento, Fiume, Pola, Trieste e Gorizia al momento della liberazione dell’Italia settentrionale". 
14.9.1944 - L'on. Bonomi, per il Governo italiano, replica ribadendo le richieste italiane. 
22.9.1944 –L'ammiraglio Stone assicura Bonomi che le richieste sono state portate a conoscenza dei Comando supremo alleato. 
Febbraio 1945 - Belgrado. Secondo incontro fra il maresciallo Tito e Alexander: riconferma della linea di attestamento da Fiume direttamente a Nord convenuta a Bolsena. 
Marzo 1945 - il ministro degli Esteri De Gasperi inizia una azione diplomatica a Washington per ottenere l'occupazione alleata di tutta la Venezia Giulia. 
22.4.1945 - Truppe jugoslave occupano Brioni e le isole adiacenti; il VII Corpo jugoslavo marcia su Trieste ed il IX Corpo su Monfalcone. 
1.5.1945 - Elementi del IX Corpo e partigiani fanno la loro apparizione nelle zone periferiche di Trieste. 
2.5.1945 - Trieste: resa dei tedeschi alle forze neozelandesi. Il Comando jugoslavo occupa la città e ne assume l'amministrazione. 
5.5.1945 - Trieste risponde all'occupazione jugoslava con una manifestazione di popolo e cinque cittadini rimangono uccisi nel conflitto con gli slavi. 
8.5.1945 - Duro promemoria di Alexader a Tito. 
9.6.1945 - Belgrado. Tito, pur protestando, firma un accordo con il generale Morgan: il territorio ad occidente della linea Trieste - Caporetto - Tarvisio e gli ancoraggi di Pola e della costa occidentale dell'Istria sono posti sotto controllo diretto degli Alleati. 
12.6.1945 - Le truppe jugoslave lasciano Trieste. 
22.8.1945 - Il presidente del Consiglio Parri, rendendosi conto che rettifiche sulla frontiera orientale sarebbero state inevitabili e che è impossibile intavolare negoziati diretti con la Jugoslavia, avverte il presidente Truman che una pace ingiusta avrebbe deleterie conseguenze sulla vita politica italiana. 
1.9.1945 - Londra. Conferenza dei ministri degli esteri delle potenze alleate. Byrnes propone che l'Italia e la Jugoslavia vengano ad esporre il rispettivo punto di vista sulla questione del confine orientale. 
18.9.1945 - Per la Jugoslavia parla Kardelj il quale sostiene che "tutta la Venezia Giulia si riconnette ai Balcani"; che economicamente Trieste "è indispensabile alla Jugoslavia"; che politicamente e moralmente la Yugoslavia "non può permettere che gli italiani si servano di Trieste come di una testa di ponte per minare l'unità dello Stato Jugoslavo e penetrare nei Balcani". De Gasperi risponde consegnando un memorandum che, sulla base delle proposte fatte il 22 agosto, caldeggia un accordo secondo la linea Wilson del 1919 che, sino al 1940, rappresentava il massimo delle aspirazioni jugoslave. 
19.9.1945 - Il Consiglio dei ministri degli affari esteri dei Quattro nomina una Commissione di esperti per accertare sul posto i dati etnici ed economici di quelle zone. 
24.9.1945 - La delegazione degli Usa, in linea di principio, accetta la proposta di prendere come base di trattativa la linea Wilson. Propone che la frontiera con la Jugoslavia segua l'andamento degli insediamenti etnici, con i necessari adattamenti per preservare l'economia della regione e dando Trieste, trasformata in porto franco, all'Italia. 
9.3/5.4.1946 - Gli esperti si intrattengono nella Venezia Giulia. Ciascuna delle quattro delegazioni che compongono la Commissione presenta una propria relazione. Tutte sono identiche nella sostanza, ma propongono quattro diverse linee di frontiera, delle quali la francese dalle porte di Trieste voltava subito a Ovest sottraendo all'Italia tutta l'Istria, aggregando a Trieste il tratto di costa a Sud della città fino a Cittanova. Da questo progetto nascerà l'idea del Territorio libero di Trieste. 
Aprile 1946 - Consegna della relazione finale degli esperti che, a parte le discordanti soluzioni per il tracciato del confine, riconosce l'esattezza di quanto sostenuto dall'Italia: nei distretti di Tarvisio, Gorizia, Basso Isonzo, Trieste e nell'Istria occidentale e meridionale la maggioranza etnica è italiana. 
26.4.1946 - Kardelj dichiara di non poter accettare alcuna delle proposte degli esperti e mantiene le richieste presentate a Londra nel settembre del 1945. 
3.5.1946 - De Gasperi sottolinea il valore del riconoscimento della tesi etnica sostenuta dall’Italia, specie perché gli esperti non hanno accolto l'invito dei Governo italiano "perché l'inchiesta fosse estesa a tutta la zona contestata ed in particolare alle regioni popolate in modo preponderante da italiani". Molotov, di fronte all'opposizione anglo-americana di abbandonare Trieste alla Jugoslavia, propone alternativamente: a) trasformare Trieste in stato autonomo sotto la sovranità jugoslava con statuto internazionale, b) creare uno stato autonomo con due governatori uno italiano e uno jugoslavo. Da qui il compromesso disastroso per l’Italia. I Quattro abbandonano il principio del confine su basi etniche e adottano la linea di confine francese ma sottraendo all'Italia il territorio che avrebbe costituito il Territorio libero di Trieste. 

3.7.1946 - Questa decisione è definitivamente adottata dai Quattro, malgrado ogni protesta sia dell'Italia che della Jugoslavia. 
10.8.1946 - De Gasperi, ministro degli Esteri, dice: "La linea francese era già una linea etnica nel senso indicato dalle decisioni di Londra… ma, per quanto inaccettabile, era comunque una frontiera italo-jugoslava che attribuiva Trieste all'Italia. Che cosa è avvenuto sul tavolo dei compromessi 
durante il mese di giugno perché, il 3 luglio, il Consiglio dei Quattro facesse tabula rasa della decisioni di Londra e facesse della linea francese non la frontiera tra l’Italia e la Jugoslavia bensì la frontiera tra il cosiddetto "Territorio libero di Trieste", dotato di uno speciale Statuto internazionale e la Jugoslavia?" 
20.8.1946 - La delegazione italiana consegna al segretario della Conferenza di pace una memoria in cui, fra l'altro, si propone di estendere il Territorio libero di Trieste fino a Pola e Brioni, smilitarizzando queste città in modo da restituire all’Italia i cinquantamila italiani della costa istriana e di includere nel Territorio libero di Trieste l'isola di Lussino. Tali proposte non sono accolte. 
Sett. 1946 - La delegazione italiana alla Conferenza di pace tenta, a più riprese, di far riprendere in considerazione come frontiera fra l'Italia e la Jugoslavia la linea etnica e propone 4’una libera consultazione delle volontà delle popolazioni interessate" secondo i principali della Carta atlantica. Inutilmente. 
28.9.1946 - La Commissione politica territoriale della Conferenza di pace approva la linea francese. 
3.11.1946 – Il governo italiano si appella ai Quattro perché "si proceda alla delimitazione della frontiera orientale secondo il criterio della linea etnica… e si ricorra al plebiscito nelle zone in contestazione… Il Governo italiano rivendica lo stesso principio nell'eventualità che venga creato il Territorio libero di Trieste perché le sue frontiere si estendano almeno sino alla zona indiscutibilmente italiana di Parenzo e di Pola". 
4/5.11.1946 - Incontro Togliatti-Tito per un'intesa fra l’Italia e la Jugoslavia: baratto di Trieste con Gorizia; concessione all’Italia di un corridoio verso Trieste. 
28.11.1946 - i Quattro, raggiunto l'accordo sulle frontiere del futuro Territorio libero di Trieste, autorizzano la Jugoslavia a mantenere cinquemila uomini armati nella Zona B. 
10.2.1947 - Firma del Trattato di pace. Sforza, ministro degli Esteri, in una nota di protesta per il trattamento impostoci, manifesta il proposito di chiedere la revisione del Trattato. La Jugoslavia dichiara di non rinunciare ai "propri diritti" su tutta la Venezia Giulia e progetta di rioccupare Trieste, il presidente Truman ordina l'invio di rinforzi militari. In base al Trattato di pace, la Jugoslavia amministra la Zona B a "titolo temporaneo" e deve limitarsi alla normale amministrazione con assoluta imparzialità tra i gruppi etnici. La Jugoslavia applica invece tutti i possibili mezzi per cancellare ogni aspetto italiano nella zona. 
1947 - Il Consiglio di sicurezza dell’ONU, cui spetta la nomina del Governatore di Trieste, condizione per la creazione del Territorio libero di Trieste, non riesce ad accordarsi. La Francia suggerisce che l’Italia e la Jugoslavia si ,accordino fra loro: nessuna delle due parti si dichiara consenziente sui candidati proposti dall’altra. 
Il problema torna al Consiglio di sicurezza che se ne occupa, senza risultati, tra la fine del 1947 e la primavera del 1948. 
20.3.1948 - Constatata l'impossibilità di pervenire alla nomina di un Governatore e valutata l'azione snazionalizzatrice svolta dalla Jugoslavia nella Zona B, le potenze occidentali emettono la Dichiarazione tripartita per cui Stati Uniti, Regno Unito e Francia invitano il Governo sovietico e quello italiano ad accordarsi "in vista di un protocollo addizione al Trattato di Pace con l’Italia per ricondurre sotto sovranità italiana l'intero Territorio libero di Trieste". 
9.4.1948 - Il Governo italiano accetta la dichiarazione tripartita. 
16.4.1948 - Il Governo jugoslavo respinge la proposta. La Russia manifesta un netto rifiuto. 
4.5.1948 - Bevin, ministro degli Esteri di Gran Bretagna, dichiara ai Comuni che "Trieste dovrebbe essere restituita all’Italia" e che "se il Territorio libero, che è territorio italiano, fosse restituito all’Italia con la popolazione italiana che vi risiede esso rappresenterebbe una buona frontiera…" 
28.6.1948 - Il Cominform scomunica il Partito comunista jugoslavo. 
21.2.1949 - All'Onu, Austin, delegato americano, dichiara al Consiglio di sicurezza che l'art. 2 dello Statuto del Territorio libero di Trieste costituisce una pietra miliare per la salvaguardia dei diritti 
dell'uomo "violati dal governo poliziesco operante in Zona B". Il delegato inglese conferma che "una forma di governo poliziesco è stata estesa dalla Jugoslavia alla zona che essa deve amministrare, con tutte le caratteristiche di un governo totalitario. Ciò rende impossibile l'unificazione di questa zona con la zona anglo-americana in vista della formazione di un territorio indipendente e democratico secondo le linee previste dal Trattato di pace. In questa condizione l'istituzione di un territorio indipendente significherebbe la creazione di una zona aperta alle aggressioni dirette, secondo i metodi così spesso messi in pratica nell'Europa orientale". 
Luglio 1949 - La Jugoslavia, introducendo il "dinaro" nella Zona B come unica moneta, conferma di voler dar vita ad un atto unilaterale di annessione. 
11.2.1950 - Roma. Colloqui del conte Sforza con il ministro Ivekovic che propone quale base per la soluzione del problema del Territorio libero di Trieste l'accordo Tito- Togliatti del novembre 1946. Sforza rifiuta. 
8.4.1950 - Milano. Sforza muove caute avances accolte freddamente dalla Jugoslavia. 
28.4.1950 - Tito, in una intervista, risponde a Sforza che sulla base delle "avances" non è possibile "iniziare trattative" che, al caso, vanno sviluppate sulla base dell'accordo con Togliatti. 
1.5.1950 - Sforza ribatte la necessità di un accordo fra Italia e Jugoslavia. Colloqui esplorativi con il rappresentante di Belgrado a Roma. Ottiene un rifiuto. Il ministro degli Esteri jugoslavo, in due successivi discorsi, afferma che l'Italia vuole creare un'atmosfera di minacce e di pressioni. 
23.12.1950 - Stipula dell'accordo economico bilaterale con la Jugoslavia per la sistemazione delle pendenze finanziarie derivanti dal Trattato di pace. Tito, all'Ansa, dichiara che Trieste non è "una grossa questione" ma che, per risolverla, occorre stabilire "una frontiera ben chiara ed accettata da ambo le parti". 
13/14-3-1951 - Londra. Incontro del ministro degli Esteri italiano con il Premier inglese: vi si esprime "l’ansia di raggiungere un accordo amichevole con il governo jugoslavo" sulla questione del Territorio libero di Trieste. 
11.7.1951 - De Gasperi, al Senato, conferma la volontà dell'Italia di riottenere in un'atmosfera di amicizia con la Jugoslavia. 
13.7.1951 - Tito, commentando il dibattito al Senato, accusa il Governo italiano di coltivare "piani di reazione fascista". 
28.9.1951 - Kardelj dichiara all'Assemblea jugoslava che fra le contrapposte tesi, bisogna trovarne una terza, ma non precisa quale. 
Febbraio 1952 - Tito si dichiara favorevole alla creazione del Territorio libero di Trieste, con un Governatore alternativamente italiano e jugoslavo e con un vice governatore dell'altra Nazione. De Gasperi risponde che "questo progetto condurrebbe alla esasperazione dei contrasti interni tra i due gruppi e ad una continua lotta imperniata su tali contrasti il che avrebbe come conseguenza di rendere acuti e permanenti i contrasti tra i due Paesi confinanti". 
17.3.1952 - Nota verbale del governo italiano a quelli della Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti: denuncia delle misure prese da Belgrado nella Zona B in violazione del Trattato di pace. 
20.3.1952 - Quarto anniversario della Dichiarazione tripartita. Incidenti con morti e feriti a Trieste in un conflitto fra cittadini e forze di polizia. 
Il Governo italiano promuove una energica azione per ottenere un sostanziale miglioramento nell'amministrazione della Zona A. 
9.5.1952 - Londra. Firma dell'accordo tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia che consente una più larga partecipazione italiana nell'amministrazione della zona. Mosca protesta. 
Belgrado adotta ulteriori misure poliziesche nella Zona B peggiorando ancora la situazione degli italiani colà residenti. 
8.8.1952 - Nota verbale del Governo italiano a quelli della Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, essendo stati introdotti nella Zona B di Trieste leggi e provvedimenti jugoslavi con un blocco di tredici ordinanze. 
30.10.1952 - L'Italia propone alla Jugoslavia di sottoporre al giudizio della Corte internazionale dell’Aja la legittimità dei provvedimenti estesi alla Zona B. Belgrado, affermando che la questione è politica e non giuridica, si sottrae al giudizio della Corte internazionale dell'Aja. 

19.8.1953 - Pella, presidente del Consiglio dei ministri, nella dichiarazione programmatica al Parlamento riafferma una "determinazione altrettanto ferma nella difesa degli interessi nazionali". 
28.8.1953 - L'Agenzia Jugo-press considera le dichiarazioni di Pella una dimostrazione che l'atteggiamento conciliante e indulgente della Jugoslavia di fronte alla presa di posizione non costrittiva di Roma non può condurre ad una soluzione del problema di Trieste". 
L'Agenzia United-Press riporta: "Nessuna notizia è fin qui pervenuta.. circa il proponimento del Governo jugoslavo di procedere all’annessione della Zona B. Se la Jugoslavia compisse effettivamente un simile gesto, inconsulto e irresponsabile, la reazione italiana sarebbe senza dubbio quella che la coscienza del suo popolo esigerebbe". 
30.8.1953 - La Tanjug ritiene provocatorie le notizie e i commenti della stampa circa la intenzione jugoslava di annettere la Zona B del Territorio libero di Trieste. 
1.9.1953 - Nota di protesta jugoslava per il movimento di truppe italiane alla frontiera. Il Governo italiano nello stesso giorno risponde di essere stato costretto a prendere tali misure "di carattere precauzionale protettivo". 
4.9.1953 - La delegazione jugoslava a Roma respinge la risposta italiana aggiungendo: 
"grazie unicamente alla estrema pazienza del Governo jugoslavo non è stato dato fino a questo momento l'ordine per contromisure corrispondenti". 

6.9.1953 - Discorso aggressivo di Tito a San Basso per cristallizzare a proprio favore la situazione della Zona B: "devo dire... a tutti che la questione triestina è stata portata in un vicolo cieco. Riconoscendo la necessità di liquidare questo problema, credo che l'unico modo di risolverlo sarebbe quello di fare di Trieste una città internazionale e che il retroterra venga annesso alla Jugoslavia". 
Roma, notte. Nota ufficiosa che tra l’altro rileva: "nella sua megalomania egli (Tito) indica ora una sola soluzione da prendere o lasciare: l'annessione pura e semplice alla Jugoslavia dell'intero Territorio... tutto ciò appare talmente incredibile che viene naturale domandarsi quali siano i veri intendimenti del dittatore jugoslavo". 
13.9.1953 - Pella, presidente del Consiglio, dal Campidoglio, ripropone il plebiscito su tutto il Territorio libero di Trieste e la convocazione di una conferenza a cinque. 
Rivolgendosi agli Stati Uniti ed alla Gran Bretagna dice: "È dunque tempo che essi riconoscano l'anacronismo della loro attuale posizione" sia nel Territorio libero di Trieste che nei confronti dell'Italia. La proposta Pella è portata a conoscenza di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e del Governo jugoslavo. 
2.10.1953 - Pella alla Associated press: "prima della ratifica del trattato a sei per l'esercito europeo, deve essere equamente risolta la questione di Trieste". 
6.10.1953 - Pella alla Camera: "La ratifica del trattato della Ced da parte del Parlamento italiano sarà molto facilitato da una previa soluzione del problema di Trieste". 
8.10.1953 - Gli ambasciatori degli Usa e della Gran Bretagna comunicano che i rispettivi governi hanno deciso: "tenuto conto del preminente carattere italiano della Zona A, di rimettere l’amministrazione di quella zona al Governo italiano". 
9.10.1953 - Pella alla Camera: "la comunicazione fatta dai governi americano e britannico… non pregiudica in alcun modo i riconosciuti diritti dell’Italia sull'insieme del territorio, né pregiudica la facoltà del Governo italiano di farli valere e di perseguirne la realizzazione nelle forme più idonee… 
Posso dichiarare nel modo più formale che il fatto dell'accettazione di amministrare la Zona A non implica alcun abbandono delle rivendicazioni relative alla Zona B da parte italiana". 
5.10.1954 - Londra. Brosio per l'Italia, Thompson per gli Usa, Harrison per l'Inghilterra, Velebit per la Jugoslavia, siglano il Memorandum d'intesa. 
4.11.1954 - L'Italia riassume la diretta amministrazione della Zona A e la Jugoslavia assume quella della Zona B, Su ambedue le zone permane incontestabilmente la sovranità italiana. 
25.9.1956 - Belgrado. Riunione della Commissione mista italo-jugoslava per definire gli aspetti economici derivanti dal Memorandum di Londra e per il libero trasferimento delle persone già residenti nelle Zone A e B. 
1958 - Nuova crisi fra paesi comunisti e Jugoslavia. 
1958-1959 - Intensificazione dei rapporti economici fra Italia e Jugoslavia ma non di quelli politici. 
4.12.1960 - Popovich, ministro degli Esteri jugoslavo, a Roma. Il comunicato: "È stata riaffermata da ambo le parti la precisa volontà, nell'interesse dei due Paesi, di far quanto possibile per sviluppare i rapporti di buon vicinato". 
1.7.1961 - Segni, ministro degli Esteri a Belgrado, sue dichiarazioni: "Siamo riusciti a compiere ulteriori notevoli progressi sulla via intrapresa in questi ultimi tempi nella reciproca comprensione e collaborazione… evidentemente ognuno dei due Paesi, per circostanze comprensibili, segue metodi diversi… In vari punti abbiamo rilevato che i due governi sono ispirati da preoccupazioni e da intendimenti analoghi… Questo compito richiede, naturalmente, una chiara, meditata e realistica valutazione delle proprie possibilità e una graduale e costante opera di realizzazione". 
1962-1963 - Stasi nei rapporti italo-jugoslavi. 
Marzo 1964 - Invito a Moro di recarsi a Belgrado. 
3.3.1965 - Il "Combat" di Parigi annuncia negoziati fra Roma e Belgrado e parla di Zona B definitivamente assegnata alla Jugoslavia. La Farnesina smentisce. 
8/12.11.1965 - Moro, presidente del Consiglio, a Belgrado. Dai colloqui sarebbero escluse le questioni strettamente territoriali. 
10/16.12.1965 - Riunione a Belgrado del Comitato misto per le minoranze. 
24/25.5.1966 - Zagabria. Riunione dei Comitato misto per le minoranze. 
Gennaio '67 - Trattato commerciale con la Jugoslavia. Rottura delle trattative per il rinnovo. Il Ministro Tolloy, a Trieste, lascia intendere che la rottura è da ascriversi ad azioni di elementi jugoslavi che avevano violato il Memorandum d'intesa nella Zona B. 
5.1.1967 - Belgrado. Il "Borba", ricordando le dichiarazioni del segretario agli Esteri jugoslavo Nikezie: "gli interessi dei singoli o di alcuni gruppi politici non devono prevalere su quelli generali", denuncia "una corrente di freddezza" fra Italia e Jugoslavia. 
10.5.1967 - Protesta di Belgrado a Roma per il raduno degli alpini a Treviso. 
13/23.11.1967 - Belgrado: riunione della Commissione mista per la tutela delle minoranze. 
8/10.1.1968 - Visita a Roma del premier Spiliak e del ministro elegli Esteri Nikezic. Colloqui con Saragat, con Moro, presidente del Consiglio e con Fanfani, ministro degli Esteri, dedicati a problemi di interesse bilaterale. il "Borba" analizza le relazioni italo- jugoslave rilevando una volontà di non soffermarsi sul passato ma di guardare all'avvenire. 
Il comunicato ufficiale dice che le parti manifestano l'intenzione di promuovere ulteriori miglioramenti nei rapporti bilaterali e di rendere sempre più costruttiva la politica di buon vicinato nel rispetto dei reciproci interessi e perseguendo con fervida volontà gli obiettivi comuni della pace della convivenza operosa e distensiva". 
24.4.1968 - Zagaria. Il " Vjesnik' denuncia la campagna svolta "dai settori della destra italiana per ottenere la restituzione dell’Istria all'Italia". Cita brani della "Discussione" relativi al "biblico Esodo di trecentomila istriani, fiumani e dalmati" che hanno abbandonato le loro terre nel timore che 
l'occupazione jugoslava potesse, oltre che separarli dalla madrepatria, privarli della civiltà cristiana e delle libertà democratiche". 
9.1.1969 - Brioni: Tito esalta i rapporti di buon vicinato con l’Italia. 25.5.1969 - Kardelj, a Umago d'Istria: "La regione dell'Istria offre un contributo specifico all’arricchimento del pensiero e della cultura dei popoli jugoslavi ed alla creazione di un clima di comprensione e di accostamento con il vicino popolo italiano". 
26/29.5.1969 - Nenni, ministro degli Esteri, a Belgrado: "La frontiera aperta tra l'Italia e la Jugoslavia è un fatto esemplare in questo momento di tensione che l’Europa e il mondo stanno attraversando". 
22.9.1969 - Trieste. Il presidente della Repubblica slovena, ricevuto dal presidente Berzanti, visita ufficialmente la Giunta regionale di Trieste. Dichiara di seguire con molta attenzione quanto succede nel Friuli - Venezia Giulia avendo le due regioni "molti interessi in comune". 
2.10.1969 - Saragat, presidente della Repubblica e Moro, ministro degli Esteri a Belgrado. Tito al brindisi: "L'attuale grado di feconda collaborazione fra l'Italia e la Jugoslavia ha potuto essere raggiunto grazie al coerente rispetto dei principi di completa eguaglianza, di non interferenza negli affari interni… Moro, al ritorno, dichiara che sono stati trattati i problemi delle comunicazioni nel goriziano. Tali comunicazioni interessano, però, soltanto la popolazione jugoslava di confine. 
4.10.1969 - Conferenza stampa di Tito che, invece, afferma: "Oggi lo stato dei rapporti è tale da consentire, a differenza del passato, la discussione di problemi delicati come quello dei confini". 
6.12.1970 - Improvviso annullamento della visita a Roma di Tito perché l'Ansa comunica che il ministro degli Esteri Moro, rispondendo ad interrogazioni di deputati e senatori missini e democristiani, riguardanti le sorti della Zona B e del mancato Territorio libero di Trieste, ha affermato che, in occasione delle note visite effettuate da parte italiana in Jugoslavia, non sono state affrontate questioni attinenti alla sovranità sulla Zona B. "Tali questioni esulano dagli argomenti da trattarsi nel corso delle prossime visite in Italia del presidente della Repubblica socialista federativa jugoslava… Il Governo non prenderà in considerazione nessuna rinuncia ai legittimi interessi nazionali". 
21.1.1971 - Tepavac, ministro degli Esteri jugoslavo, commentando un discorso di Moro sulle relazioni fra i due paesi: "Il Governo italiano e quello jugoslavo credono nei rapporti esistenti tra i due Paesi, incluso il Memorandum del 1954 e le sue implicazioni territoriali…". 
23.3.1971 - Visita di Tito a Roma. Incontro Moro-Tepavac. Nel comunicato: "Fedeli agli accordi internazionali stipulati, essi hanno tenuto a ribadire la determinazione di continuare a basare i loro rapporti sul reciproco rispetto dell'indipendenza, della sovranità e delle integrità territoriale e sul principio della non interferenza negli affari interni". 
28.6.1971 - Ribicic, presidente del Consiglio jugoslavo in un comizio a Predbor: "In particolare, dato il rafforzamento della fiducia tra i nostri due paesi, sia noi sia gli italiani esprimiamo la speranza che con la buona volontà saranno risolti anche gli ultimi problemi rimasti ancora aperti". 
15.11.1971 - Moro, ministro degli Esteri, alla commissione Esteri della Camera, illustra la posizione dell’Italia in relazione ai rapporti italo-jugoslavi. Fragoljub Vujika, portavoce di Belgrado, dice che a Belgrado il discorso di Moro "è stato accolto con molto favore… i tentativi di riesumare forze aggressive di Irredentismo e di rivendicazioni territoriali, promosse da forze che in passato arrecarono clanno ai due paesi, hanno richiamato l'attenzione della opinione pubblica jugoslava, che è giustamente sensibile a questi fatti". 
16.12.1971 - Belgrado. Dichiarazioni di Tito al Parlamento jugoslavo: "Durante la mia visita ufficiale in Italia… abbiamo confermato la reciproca decisione di continuare la politica dell’amicizia e della cooperazione fra vicini. Nello stesso tempo sono state create le condizioni per comporre le questioni pendenti fra i due paesi". 
21.4.1972 - Il "Combat", da Parigi, dà notizia di trattative fra Roma e Belgrado per un accordo in merito alla Zona B. Smentita della Farnesina. 
5.5.1972 - Alcuni giornali parlano di accordi con la Jugoslavia in merito alla Zona B. Ulteriore smentita della Farnesina. 
29.12.1972 - Tito parlando agli attivisti montenegrini della Lega dei comunisti, denuncia l'azione dei profughi istriani residenti in Italia che tendono ad impossessarsi di parte del territorio jugoslavo; pretendono la reintegrazione all’Italia della Zona B; esercitano pressioni sul Governo italiano affinché non venga raggiunto alcun accordo con la Jugoslavia. 
"Naturalmente la Zona B è nostra e a noi non importa nulla di quanto vanno cianciando… ; altri vorrebbero riprendere tutta l'Istria, Zara e tutta la Dalmazia". Tito chiede che il Governo italiano prenda nette distanze "da queste organizzazioni che nutrono aspetti revanscisti sul nostro territorio". 
16.4.1974 - Tito a Sarajevo dichiara: "La Zona B non esiste più e se qualcuno deve denunciare la questione delle ex zone, quelli siamo noi e non gli italiani. Ma questo noi non lo faremo perché con la nostra rinuncia a Trieste abbiamo creato le condizioni per una atmosfera che non esisteva "in nessuna altra parte dell'Europa". 
Il segretario generale del ministero degli affari esteri, a Roma, Gaja, con una nota a Belgrado chiede "informazioni e chiarimenti" sul discorso di Tito perché "non si comprende… l’inopportuno accenno ad una riapertura della questione di Trieste" e deve sottolineare "l’esigenza che da parte jugoslava non vengano prese iniziative unilaterali… come è inammissibile il linguaggio non cortese usato in alcune frasi della nota verbale jugoslava in data 30 marzo 1974". 
1.10.1975 - Il ministro per gli affari esteri Rumor dà notizia al Parlamento della necessità per l'Italia di rinunciare alla sovranità sulla Zona B in favore della Jugoslavia. 

Questi i fatti che condussero all’esodo di 350.000 nostri connazionali. Per anni disconosciuto, come il dolore e l’oltraggio vissuto da chi una volta giunto in Italia venne accolto da traditore o da fascista. Come quegli esuli in transito che vennero ricevuti dallo sciopero e dagli insulti dei ferrovieri della stazione di Bologna. 
Per anni fu oscurata l’assurda condizione in cui si trovarono coloro che dopo aver lasciato la loro casa e i loro averi, furono costretti da vigliacche logiche politiche ad affrontare in silenzio la loro tragedia. 

A loro è dedicato il ricordo. 

Al loro sacrificio, e ad una Nazione che non deve dimenticare è rivolta la legge che istituisce nel 10 febbraio “il Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano dalmata, delle vicende del confine orientale”. 
Legge 30 marzo 2004, n. 92 
"Istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati" 
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 86 del 13 aprile 2004 
Art. 1. 
1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre 
degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. 
2. Nella giornata di cui al comma 1 sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero. 
3. Il «Giorno del ricordo» di cui al comma 1 è considerato solennità civile ai sensi dell’articolo 3 della legge 27 maggio 1949, n. 260. Esso non determina riduzioni dell’orario di lavoro degli uffici pubblici né, qualora cada in giorni feriali, costituisce giorno di vacanza o comporta riduzione di orario per le scuole di ogni ordine e grado, ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge 5 marzo 1977, n. 54. 
4. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 
Art. 2. 
1. Sono riconosciuti il Museo della civiltà istriano-fiumano-dalmata, con sede a Trieste, e l’Archivio museo storico di Fiume, con sede a Roma. A tale fine, è concesso un finanziamento di 100.000 euro annui a decorrere dall’anno 2004 all’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata (IRCI), e di 100.000 euro annui a decorrere dall’anno 2004 alla Società di studi fiumani. 
2. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, pari a 200.000 euro annui a decorrere dall’anno 2004, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. 
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. 
Art. 3. 
1. Al coniuge superstite, ai figli, ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall’8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle province dell’attuale confine orientale, sono stati soppressi e infoibati, nonché ai soggetti di cui al comma 2, è concessa, a domanda e a titolo onorifico senza assegni, una apposita insegna metallica con relativo diploma nei limiti dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 7, comma 1. 
2. Agli infoibati sono assimilati, a tutti gli effetti, gli scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati. Il riconoscimento può essere concesso anche ai congiunti dei cittadini italiani che persero la vita dopo il 10 febbraio 1947, ed entro l’anno 1950, qualora la morte sia sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia, escludendo quelli che sono morti in combattimento. 
3. Sono esclusi dal riconoscimento coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia. 
Art. 4. 
1. Le domande, su carta libera, dirette alla Presidenza del Consiglio dei ministri, devono essere corredate da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio con la descrizione del fatto, della località, della data in cui si sa o si ritiene sia avvenuta la soppressione o la scomparsa del congiunto, allegando ogni documento possibile, eventuali testimonianze, nonché riferimenti a studi, pubblicazioni e memorie sui fatti. 
2. Le domande devono essere presentate entro il termine di dieci anni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Dopo il completamento dei lavori della commissione di cui all’articolo 5, tutta la documentazione raccolta viene devoluta all’Archivio centrale dello Stato. 
Art. 5. 
1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è costituita una commissione di dieci membri, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o da persona da lui delegata, e composta dai capi servizio degli uffici storici degli stati maggiori dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e dell’Arma dei Carabinieri, da due rappresentanti del comitato per le onoranze ai caduti delle foibe, da un esperto designato dall’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste, da un esperto designato dalla Federazione delle associazioni degli esuli dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, nonché da un funzionario del Ministero dell’interno. La partecipazione ai lavori della commissione avviene a titolo gratuito. La commissione esclude dal riconoscimento i congiunti delle vittime perite ai sensi dell’articolo 3 per le quali sia accertato, con sentenza, il compimento di delitti efferati contro la persona. 
2. La commissione, nell’esame delle domande, può avvalersi delle testimonianze, scritte e orali, dei superstiti e dell’opera e del parere consultivo di esperti e studiosi, anche segnalati dalle associazioni degli esuli istriani, giuliani e dalmati, o scelti anche tra autori di pubblicazioni scientifiche sull’argomento. 
Art. 6. 
1. L’insegna metallica e il diploma a firma del Presidente della Repubblica sono consegnati annualmente con cerimonia collettiva. 
2. La commissione di cui all’articolo 5 è insediata entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e procede immediatamente alla determinazione delle caratteristiche dell’insegna metallica in acciaio brunito e smalto, con la scritta «La Repubblica italiana ricorda», nonché del diploma. 
3. Al personale di segreteria della commissione provvede la Presidenza del Consiglio dei ministri. 
Art. 7. 
1. Per l’attuazione dell’articolo 3, comma 1, è autorizzata la spesa di 172.508 euro per l’anno 2004. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. 
2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. 
3. Dall’attuazione degli articoli 4, 5 e 6 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.